w1

w1

mercoledì 30 novembre 2016

FuoЯissimo.

"La clinica, oggi, pare deserta. O forse son io, che sono più assente del solito.", pensava Weirdo, passeggiando per i corridoi. Si trovò al piano rialzato, e a doversi coprire gli occhi per la sciabolata di luce che reverberava sui pavimenti lucidi. Si voltò - quasi d'istinto - e riguadagnò una sicura penombra, quando ecco sopraggiungere l'incanto.
Incantarsi, fin da piccolo, era sempre stata una delle sue attività incidentali preferite. Anche più di sbadigliare, o stiracchiarsi. Quella pausa da tutto, quell'assenza di pensiero che l'incantarsi gli provocava era sempre stata vissuta da Weirdo - a posteriori, resosi conto - con grande gratitudine.
Si ridestò quando sentì il dottore di fronte a lui rivolgergli la parola.

"Lei è fuori, Weirdo." - disse il legittimo abitante del camice.
"...non mi pare granchè, come diagnosi." - ribattè il nostro.
"Non ci siam capiti, lei è fuori nel senso che se ne può andare da qui."
"Non capisco, dottore, sono guarito?!"
"Non proprio. Per nulla, a dirla tutta. Ma il punto è stato raggiunto."
"...quale punto? E dove sono i dottori, dove sono i pazzi, dove sono tutti?"
"Quelli fuori, sono fuori. - disse il camice, in un capolavoro di tautologia - Tutti fuori, anche i dottori. Forse, qualcuno dei matti s'è trattenuto ancora un po', il tempo di farsi una doccia o schiacchiare un sonnellino. So quasi per certo che un dottore è ancora al secondo piano, e si sta trombando un'infermiera. Anzi, conoscendo l'infermiera in questione, sono quasi sicuro che è lei che si sta trombando lui. Comunque, non è il punto."
"...e allora, qual è il punto?" - chiese Weirdo, e la domanda parve uscirgli come un rigurgito.
"Il punto, che è stato raggiunto, è che quelli fuori di qui quando noi eravamo considerati quelli fuori - e quindi dovevamo stare qui dentro - ci hanno a loro volta raggiunto in fuoranza. Son fuori, anche loro. Mi dispiace dirglielo, Weirdo, ma lei in un certo senso e per la prima volta nella sua vita, a quanto pare ora fa parte di una maggioranza, del numero grosso nelle statistiche. Tutti fuori, quindi, tutti. Può andare."

Weirdo spalancò un po' la bocca.
"...ma come, dottore, non rischiamo di farci del male, di fare del male a altri?!"
"Sì, Weirdo. Ma lei conosce forse il nome di un pittore, di una rockstar, di uno scienziato, di un artista che abbia fatto qualcosa di grande e che ci fosse proprio tutto tutto, con la testa?"
"Per quello, si può dire anche dei dittatori." - ribattè Weirdo.
"Dipende da come uno, la sua follia, la usa. Il suo vantaggio, per esempio, è non avere risposte. Lei non parla alla pancia, Weirdo. Lei, alla pancia, fa domande."

Weirdo rimase in silenzio qualche secondo.
"Certo che lei è ben strano, dottore."
"Grazie, Weirdo, ma non sono un dottore. E forse - addirittura - non esisto. Forse sono solo una voce nella testa di qualcuno."
"Ma come, no?! E poi, ha un camice!"
"Già, ho un camice. E uno spazzolone, se ci guarda bene. Ma ora, vada."

Weirdo mise giù lo spazzolone e smise di parlare con lo specchio dell'ingresso della clinica. Allungando la mano a toccarlo, per un attimo gli parve quasi liquido. Qualche passo incerto verso la soglia, con una meta e una metà luminose di fronte nonchè una meta e una metà oscure dietro a sè, che ebbe la consapevolezza di poter cercare sempre - ogni volta che l'avesse desiderato - volteggiando, come a danzare.

E che ritroverà, a ogni alba e a ogni tramonto.
Amandole, entrambe.


mercoledì 16 novembre 2016

C'era una volta.

Che poi, come tutti, vado avanti grazie alle storie che la mia testa mi racconta. Mi sono ritrovato qui - tra cartelle, infermiere e inservienti, ché i dottori ormai non vengono a vedermi neanche più - perchè si vede che la mia testa era andata un po' oltre a raccontarmene. Un po' parecchio.

Ma cosa credete, che non veda. Fate così tutti, e il confine tra Normale e Matto è solo una linea convenzionale tracciata da chi ha la testa che gli racconta la storia di aver studiato abbastanza, di poter giudicare cosa è patologico e cosa non lo è.

E no, a quanto pare non è più di tanto patologico, uscire da un supermercato con tre birre da 66 di cui una è già aperta e infilarsi nel grigio di una mattina di novembre. E la storia è bella, c'è anche un lieto fine in cui la risposta è scritta sul fondo dell'ultima bottiglia, e colma per sempre la fatica di vivere.

E che bella storia, diamante, ciliegia, corona. Una sola altra moneta, e ciliegia, bar, sette, che bella storia che prima o poi mi rifarò, e una moneta, e campana, diamante, bar, arriverà una dea bendata a risolvere i miei problemi. Ma - moneta, e corona, bar, campana - già non pensare, che bella storia.

Che succede se immergo gli indici ognuno in un bicchiere d'acqua, in uno fredda fredda e nell'altro caldissima? Che se li metterò poi nello stesso bicchiere a temperatura ambiente, a un dito sembrerà calda, e all'altro fredda, la stessa acqua. E così le storie.

Le storie che la testa ci racconta - il prezzo che paghiamo per sentire di più - servono ai normali per raccontarsi che le storie che si raccontano loro sono meglio, sono da sani, sono da savi. Sono a temperatura ambiente.

E tutti vivemmo, per sempre, felici e contenti.

mercoledì 9 novembre 2016

SipaЯio.

Mi sono svegliato che, a momenti - se ci mettevo un altro po' - erano passati di moda i jeans. Quelli col camice bianco, chissà cosa mi stanno dando. Ogni patologia psichiatrica ha i suoi vantaggi: a me, per esempio, mi sa che stan dando delle droghe buonissime. È pure legale, come cosa, e gratis.

Io - prima della botta - ero sempre quello che sorride per primo. Che ti solleva dall'imbarazzo del silenzio, che in strada ti dà il buongiorno, che in casa si dimentica i motivi della lite. Avete presente quelli tutti abbronzati con le giacchette fluorescenti, per strada, che asfaltano in qualsiasi condizione in termini di clima, umore e orario?

Ecco, in un certo senso, anch'io rendevo a tutti la strada più facile: si tratta pur sempre di riempire vuoti.

E poi, finisce che se lo aspettano. E allora, si va in scena tutti i giorni. E si sta anche bene, per carità: la gente si diverte, qualcuno applaude, altri - addirittura - si ricordano il tuo nome. Prima e dopo, però, stai da solo in camerino, e c'è lo specchio con le lampadine attorno, con dentro uno che ti guarda.

Sta zitto, quello nello specchio, e ti guarda. Forse, si aspetta che lo sollevi dall'imbarazzo del silenzio, di ricevere il buongiorno per primo, che siano dimenticati i motivi della lite. Forse, per lui sei l'amico che aspetta che tu chiami per primo, anche se lui non chiama mai.

O sei solo solo, e dimentichi - per un attimo - i vantaggi della tua patologia. Ma ora basta, far aspettare la gente.
Si va in scena.
SipaЯio.