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mercoledì 30 novembre 2016

FuoЯissimo.

"La clinica, oggi, pare deserta. O forse son io, che sono più assente del solito.", pensava Weirdo, passeggiando per i corridoi. Si trovò al piano rialzato, e a doversi coprire gli occhi per la sciabolata di luce che reverberava sui pavimenti lucidi. Si voltò - quasi d'istinto - e riguadagnò una sicura penombra, quando ecco sopraggiungere l'incanto.
Incantarsi, fin da piccolo, era sempre stata una delle sue attività incidentali preferite. Anche più di sbadigliare, o stiracchiarsi. Quella pausa da tutto, quell'assenza di pensiero che l'incantarsi gli provocava era sempre stata vissuta da Weirdo - a posteriori, resosi conto - con grande gratitudine.
Si ridestò quando sentì il dottore di fronte a lui rivolgergli la parola.

"Lei è fuori, Weirdo." - disse il legittimo abitante del camice.
"...non mi pare granchè, come diagnosi." - ribattè il nostro.
"Non ci siam capiti, lei è fuori nel senso che se ne può andare da qui."
"Non capisco, dottore, sono guarito?!"
"Non proprio. Per nulla, a dirla tutta. Ma il punto è stato raggiunto."
"...quale punto? E dove sono i dottori, dove sono i pazzi, dove sono tutti?"
"Quelli fuori, sono fuori. - disse il camice, in un capolavoro di tautologia - Tutti fuori, anche i dottori. Forse, qualcuno dei matti s'è trattenuto ancora un po', il tempo di farsi una doccia o schiacchiare un sonnellino. So quasi per certo che un dottore è ancora al secondo piano, e si sta trombando un'infermiera. Anzi, conoscendo l'infermiera in questione, sono quasi sicuro che è lei che si sta trombando lui. Comunque, non è il punto."
"...e allora, qual è il punto?" - chiese Weirdo, e la domanda parve uscirgli come un rigurgito.
"Il punto, che è stato raggiunto, è che quelli fuori di qui quando noi eravamo considerati quelli fuori - e quindi dovevamo stare qui dentro - ci hanno a loro volta raggiunto in fuoranza. Son fuori, anche loro. Mi dispiace dirglielo, Weirdo, ma lei in un certo senso e per la prima volta nella sua vita, a quanto pare ora fa parte di una maggioranza, del numero grosso nelle statistiche. Tutti fuori, quindi, tutti. Può andare."

Weirdo spalancò un po' la bocca.
"...ma come, dottore, non rischiamo di farci del male, di fare del male a altri?!"
"Sì, Weirdo. Ma lei conosce forse il nome di un pittore, di una rockstar, di uno scienziato, di un artista che abbia fatto qualcosa di grande e che ci fosse proprio tutto tutto, con la testa?"
"Per quello, si può dire anche dei dittatori." - ribattè Weirdo.
"Dipende da come uno, la sua follia, la usa. Il suo vantaggio, per esempio, è non avere risposte. Lei non parla alla pancia, Weirdo. Lei, alla pancia, fa domande."

Weirdo rimase in silenzio qualche secondo.
"Certo che lei è ben strano, dottore."
"Grazie, Weirdo, ma non sono un dottore. E forse - addirittura - non esisto. Forse sono solo una voce nella testa di qualcuno."
"Ma come, no?! E poi, ha un camice!"
"Già, ho un camice. E uno spazzolone, se ci guarda bene. Ma ora, vada."

Weirdo mise giù lo spazzolone e smise di parlare con lo specchio dell'ingresso della clinica. Allungando la mano a toccarlo, per un attimo gli parve quasi liquido. Qualche passo incerto verso la soglia, con una meta e una metà luminose di fronte nonchè una meta e una metà oscure dietro a sè, che ebbe la consapevolezza di poter cercare sempre - ogni volta che l'avesse desiderato - volteggiando, come a danzare.

E che ritroverà, a ogni alba e a ogni tramonto.
Amandole, entrambe.


mercoledì 16 novembre 2016

C'era una volta.

Che poi, come tutti, vado avanti grazie alle storie che la mia testa mi racconta. Mi sono ritrovato qui - tra cartelle, infermiere e inservienti, ché i dottori ormai non vengono a vedermi neanche più - perchè si vede che la mia testa era andata un po' oltre a raccontarmene. Un po' parecchio.

Ma cosa credete, che non veda. Fate così tutti, e il confine tra Normale e Matto è solo una linea convenzionale tracciata da chi ha la testa che gli racconta la storia di aver studiato abbastanza, di poter giudicare cosa è patologico e cosa non lo è.

E no, a quanto pare non è più di tanto patologico, uscire da un supermercato con tre birre da 66 di cui una è già aperta e infilarsi nel grigio di una mattina di novembre. E la storia è bella, c'è anche un lieto fine in cui la risposta è scritta sul fondo dell'ultima bottiglia, e colma per sempre la fatica di vivere.

E che bella storia, diamante, ciliegia, corona. Una sola altra moneta, e ciliegia, bar, sette, che bella storia che prima o poi mi rifarò, e una moneta, e campana, diamante, bar, arriverà una dea bendata a risolvere i miei problemi. Ma - moneta, e corona, bar, campana - già non pensare, che bella storia.

Che succede se immergo gli indici ognuno in un bicchiere d'acqua, in uno fredda fredda e nell'altro caldissima? Che se li metterò poi nello stesso bicchiere a temperatura ambiente, a un dito sembrerà calda, e all'altro fredda, la stessa acqua. E così le storie.

Le storie che la testa ci racconta - il prezzo che paghiamo per sentire di più - servono ai normali per raccontarsi che le storie che si raccontano loro sono meglio, sono da sani, sono da savi. Sono a temperatura ambiente.

E tutti vivemmo, per sempre, felici e contenti.

mercoledì 9 novembre 2016

SipaЯio.

Mi sono svegliato che, a momenti - se ci mettevo un altro po' - erano passati di moda i jeans. Quelli col camice bianco, chissà cosa mi stanno dando. Ogni patologia psichiatrica ha i suoi vantaggi: a me, per esempio, mi sa che stan dando delle droghe buonissime. È pure legale, come cosa, e gratis.

Io - prima della botta - ero sempre quello che sorride per primo. Che ti solleva dall'imbarazzo del silenzio, che in strada ti dà il buongiorno, che in casa si dimentica i motivi della lite. Avete presente quelli tutti abbronzati con le giacchette fluorescenti, per strada, che asfaltano in qualsiasi condizione in termini di clima, umore e orario?

Ecco, in un certo senso, anch'io rendevo a tutti la strada più facile: si tratta pur sempre di riempire vuoti.

E poi, finisce che se lo aspettano. E allora, si va in scena tutti i giorni. E si sta anche bene, per carità: la gente si diverte, qualcuno applaude, altri - addirittura - si ricordano il tuo nome. Prima e dopo, però, stai da solo in camerino, e c'è lo specchio con le lampadine attorno, con dentro uno che ti guarda.

Sta zitto, quello nello specchio, e ti guarda. Forse, si aspetta che lo sollevi dall'imbarazzo del silenzio, di ricevere il buongiorno per primo, che siano dimenticati i motivi della lite. Forse, per lui sei l'amico che aspetta che tu chiami per primo, anche se lui non chiama mai.

O sei solo solo, e dimentichi - per un attimo - i vantaggi della tua patologia. Ma ora basta, far aspettare la gente.
Si va in scena.
SipaЯio.

giovedì 30 giugno 2016

E come un giЯasole.

Ho fatto un sogno, un incubo lunghissimo. Settimane. Stavo in una clinica o - tipo - un ospedalone e c'erano questi vestiti di bianco che mi davano delle medicine e mi facevano scrivere. E io non esistevo, quindi mi sa che non esistevano neanche loro o l'ospedalone, però ho sognato che mi svegliavo. E mi svegliavo ogni volta con una sfiga diversa, e me la facevano scrivere. E scrivevo il mio nome sbagliato, con la "R" rovesciata: vallo a capire, l'inconscio.

Sognando, mi sono svegliato un sacco di volte, ma questa - finalmente - è la volta buona. Son tornato me stesso, son tornato girasole. Sto qui a riprendere fiato dall'incubo, in mezzo a tutti gli altri girasoli. Il mondo è finalmente tornato alla realtà: vedo solo coppe verdi e pelose di altri girasoli, ognuno col suo bravo stelone. Roba gialla attorno, che si muove al vento. Mi sa che ce l'ho anch'io, la roba gialla svolazzante.

Gran bel mondo: girasoli. Solo girasoli, la roba azzurra o grigia - che poi ci si bagna - o con le cose bianche che passano sopra i girasoli, che sta sopra a tutto. E ci giriamo tutti assieme. È tutto un "Buongiorno, coppe dei girasoli a est!", "Buonasera, coppe dei girasoli a ovest!", perchè noi girasoli - di nostro - siamo parecchio educati.

Non fossi abbastanza turbato dal mio incubo, però, hanno iniziato ad arrivare voci strane. Dicono che non è tutto girasoli. Cioè, ci sarebbero anche girasoli di confine, che dopo non hanno più girasoli, che - a un certo punto del giorno - non vedono coppe di altri girasoli, ma distese di roba verde, o strisce grigie o marroni per terra.

Cioè, secondo queste voci, ci sarebbe una fine del mondo dei girasoli - in un certo senso - e il mondo dei girasoli, quindi, sarebbe piatto. Raccontano addirittura che ogni tanto arriverebbero dei mostri, gente con le gambe e per niente verde, come nel mio incubo. E questi mostri arriverebbero anche in due o tre alla volta, ci mostrerebbero la coppa e terrebbero un macchinotto in fondo al braccio. La fantasia di qualcuno afferma addirittura che questa cerimonia sarebbe accompagnata da un verso tipico dei mostri: "Selfie! Selfie!", direbbero. Le voci più allarmiste arrivano ad affermare che questi mostri con le gambe e per niente verdi potrebbero arrivare a sradicare qualcuno di noi girasoli.

Certo che ci son dei girasoli che son veramente pazzi.

mercoledì 8 giugno 2016

Piazza GЯande.

Non lo so. Qui è tutto bianco, anche la gente strana è vestita di bianco. La gente normale, invece, un po' è in pigiama e un po' è vestita come me. La gente strana, ogni tanto, fa il giro e dà le medicine a quelli in pigiama e a quelli vestiti come me. Comunque, abbiamo un tetto e delle lenzuola, e - per me - è una bella comodità.
Basta che non duri troppo.

Perchè io, per strada, non mi ricordo mica come ci sono finito. Però mi ricordo che ci voglio restare. Magari ci sono finito come la Zoppa, che si è ritrovata da sola a parte le voci che sente. Oppure come il Conte, che si è giocato famiglia e soldi, e ha perso. Certi son nati anche bene, ma - la maggior parte - no. Delle volte, sembra una classifica delle sfighe, infatti - a farci caso - abbiamo tutti un posto pubblico.

Però, a star per strada, non lo so. Avete presente, vi siete mai rotti una gamba o un braccio? Ecco, a parte che magari fa male ed è scomodo e tutto, avete cambiato velocità. Tutti continuavano col loro solito ritmo, ma voi avete dovuto rallentare, e avete iniziato a guardarli in modo diverso. E a guardarvi, in modo diverso. Ecco, visti dalla strada, quelli strani siete voi.

Correte nei posti, avete delle aspettative, oggetti costosi e responsabilità. Noi, a un certo punto, non ce l'abbiamo più fatta. O non ce l'abbiamo più voluta fare, perchè sembrava tutto come questo soffitto che - sì, è comodo, ti tiene asciutto e tutto - ma pare ti si possa chiudere addosso.

Noi ci siamo fermati eppure, quelli per strada, siamo noi. Quindi, a me va bene: io faccio finta di non vedere voi e voi fate finta di non vedere noi. Vi auguro valga la pena, il vostro affannarvi. Che non arriviate a farvi le domande che ci siamo dovuti o voluti fare noi, se è ciò che desiderate.
Basta che non duri troppo.

martedì 24 maggio 2016

Niente di preoccupante.

Ci ho messo un po' - a svegliarmi - stamattina, ma è anche vero che due settimane fa son morto. Invece, ora, tutto bene. Tutto normale. Anche quelli col camice bianco me lo dicono: oggi mi sono svegliato normale, non c'è niente di preoccupante, di strano, di anomalo. Quasi, smetto di non riconoscermi.

Fisicamente, sto messo bene e - a livello di testa - non desto preoccupazione. Ho anche una bella famiglia, e la difendo. Dopo tutti questi anni - con mia moglie - siam praticamente parenti per cui, magari, qualche sera faccio un giro sulla statale.

Mi piacciono quelli con la sorpresina e mi concedo qualche scappatella, tanto non mi vede nessuno e - si sa - la vergogna nasce negli occhi degli altri. E poi, non è che si può più andare a sfogare le frustrazioni menando le mani allo stadio, come quando ero giovane, non son più i tempi.

La mia bella famiglia però la difendo, che adesso - si sa - la famiglia è sotto attacco. Me la minacciano le libertà altrui, fondamentalmente, quelle di chi si prende verità che io non mi sono mai potuto concedere. La minacciano quelli ai quali la vergogna dagli sguardi altrui, non nasce: come si permettono?! Io, per dire, non me lo son mai permesso.

Lo dico anche ai miei bambini, glielo spiego bene, con l'esempio: puntate il dito, deridete, sminuite. Perchè qualcuno può stare meglio, quando possiamo stare tutti male uguale? Diritti, ce n'è un numero preciso: magari per darne qualcuno ad altri, vi sciupano i vostri. Mia moglie delle volte dice che - più che educazione - pare una vendetta, ma quella lì, cosa vuoi che capisca.

A parte gli invertiti, adesso - è normale - mi fanno molta paura gli arabi. Voto anche un partito, che dice che bisogna avere paura di quelli beige. Prima, lo stesso partito, dice che dovevo malsopportare i neri. Lì facevo fatica, perchè quelli lì - fisicamente - mi piacciono, ma tanto non lo sa nessuno. Prima ancora, dice che dovevo un po' schifare i meridionali, ma tanto io - a quei tempi - mica votavo, ancora.

Per cui, tutto bene, tutto normale. A parte i miei giretti, me ne sto qui a difendere la mia famiglia e la sera guardiamo la TV. Così, ne sappiamo ancora di più, da cosa e da chi ci dobbiamo difendere, e tutto è normale: la TV vende paura a noi e vende noi alla pubblicità.

Tutto bene, niente di preoccupante.

mercoledì 11 maggio 2016

Voi, vi tocca vivere.

Lo so che - a livello di particolarità - così non è che partiam bene, ma oggi mi son svegliato morto. Mica troppo o male: morto il giusto. Con senso della misura anche a livello di tempistiche. Diciamo che me ne ero parecchio preoccupato, ma poi m'è venuto naturale. Qualche parente riesce a sorridere, qualche amico torna indietro nel tempo, a "quella volta che". Due lacrime, un fiore.

Io, spero che mi sono comportato bene. Lo so che la formula è un po' infantile, ma si sa che - quando la morte è vicina - si torna tutti un po' bambini. Ecco, io spero di essere morto bene, di avere un po' spianato la strada a chi mi vuole bene. Tipo - figli miei - ho provato a insegnarvi a vivere per tutta la mia vita e, di fronte al fatto di non avere più scelta, di fronte alla mia morte, ho provato d'insegnarvi a morire.

Sono morto da un po', ora. Il mio nome - ancora - lo sapete. Il mediocre della mia vita è scivolato via dai vostri ricordi e, per fortuna, il male che ho fatto in vita mia s'è sempre attestato a livello mediocre. Delle volte non ci posso credere - e mi vergogno di questi pensieri - mi sorprendo un poco che, per davvero, il mondo stia andando avanti senza di me. Ma in effetti, non lo fa: io sono nella camminata di un bambino o in un motto spiritoso.

Bisogna spostarmi, ora. Il tempo e il vento potranno farlo; sono bravi, con la cenere. Il mio nome non viene più ripetuto da tempo, ormai. Ma non importa, poichè nemmeno io lo ricordo. E poi, era solo un rumore nella pioggia del bosco, una nota della sinfonia, un quasi nulla che contribuisce a un tutto che - senza questo e tutti gli altri "quasi nulla" - non sarebbe lo stesso tutto.

Un ultimo sguardo indietro, prima di perdermi. Ho fatto del mio meglio, e lo so.

Ci sia possibile ritrovarci nella stessa gratitudine.

venerdì 29 aprile 2016

L'ammmore.

Dicono questi col camice che devo restare qui. Ma io, devo andare a lavorare. Se no - ben che vada - non mangio o - mal che vada - mi picchiano. E devo fare in fretta, altrimenti arriveranno altre a rubarmi il posto e poi, se in quella zona non sono organizzati bene, tocca ricominciare a litigare, a tirarsi per i capelli, a graffiare.

Il mio pezzo di strada non è male, in confronto ad altri. Ben asfaltato, così non rischio di farmi male a camminare con quei tacchi, e poco lontano da un distributore con barettino annesso. Comodo, se ti vien sete, se devi andare in bagno, se devi passare un velo di trucco sui lividi.

Voi avete scelto di non vedermi. Mi guardate - oh, se mi guardate! - ma non volete vedermi. La mia presenza nuoce al decoro, dicono. Dev'essere dura - in effetti - avere davanti agli occhi un'offerta che vi ricorda la vostra domanda. Così, nonostante il mio stacco di coscia invidiabile e un outfit decisamente caratterizzato, spesso mi pare di essere non solo quasi nuda, ma trasparente.

Conoscete altre persone che non esistono?
E allora, facciamo peggio - io e le sorelle - e estremizziamo la nostra camminata, i nostri atteggiamenti. Un po' è pubblicità - certo - ma molto è dover abbracciare in toto ciò che non possiamo cambiare, e scegliere quindi la spavalderia, la sfacciataggine. Cosa fareste, voi, se uno dei peggiori insulti fosse l'insinuare di essere vostri figli?

Siamo nate con un'unica ricchezza: la carne che abitiamo. Una volta, mi ricordo: accosta questo bel tipo, sulla quarantina. Mi avvicino e questo mi guarda imbarazzato dall'abitacolo, poi scorgo il bambino sul sedile posteriore. Avevano avuto un'avaria, per cui mi sono allontanata disinvolta. Sceso, ha preso in braccio il bambino e s'è incamminato verso il distributore.

Dalle spalle del babbo, una manina di quattro o cinque anni mi salutava.
"...papà, cosa fa qui tutta sola, quella signora?"
"...mh, non so. Pensi lavori, lascia stare."
"...e che lavoro fa?"
"La corpivendola."

martedì 19 aprile 2016

The dark side of the mood.

Vivo in questa Villetta Bipolare che ha dei disturbi all'impianto dell'umore. Mi sa che mi tocca mettere una stufetta a litio, perchè ho dei problemi con la bolletta dell'equilibrio e l'umore mi va a intermittenza: ogni tanto, precipita - mobilia e tutto - sul soffitto, oppure capita che decolli fino al pavimento. Senza passaggi intermedi.
Ma ora son molto su, potrei fare qualsiasi cosa, sento che è mio, questo mondo

di merda. Mi sento Mei
Яdo, ora. Anche il sole, non è che mi pare abbia tutto questo senso. Nulla ce l'ha, ed è sorprendente che - pur non avendolo neanche e soprattutto io, un senso - riesca comunque a sentirmici a disagio. Vedete questo peso sulle mie spalle? Mi sembra di poter sentire il rumore del respiro che mi incespica. Quest'ombra

nera! Metterò la maglietta nera! Col collo a V! Ah, ma mi vedranno - "Ecco che torna in pista!", grideranno! - e sarò di nuovo al centro, a ballare! Sono tornato, l'anima della festa! E sarò bellissimo e vedranno che era stato solo un momento e succhierò la vita in un modo così veloce e intenso che non ci sarà neanche il tempo di mettere delle virgole ma solo punti esclamativi a strafottere! Perchè è mia, questa

notte. Dicono che il periodo peggiore sia la notte. Ma si vede che non han provato la mattina verso le nove, o il primo pomeriggio. O - peggio - quando toccherebbe incontrare della gente, che ti senti pure in colpa per come li fai sentire di fronte a come stai. E la depressione diventa il secondo problema. Mai, eh, che io riesca a primeggiare in

qualcosa! Qualsiasi cosa! Mi va bene tutto, è tutto magnifico.
Quanto cose bellissime, potreste fare voi per me.

mercoledì 6 aprile 2016

Quale gobba?

Dicon quelli coi camici che oggi mi sarei svegliato con la gobba. Pazzi. Io – modestamente, WeiЯdo – la gobba, ce l'ho sempre avuta. E, assieme a lei, quel bel fascino da Riccardo III, quel sentirmi guardato come fossi uno Iago qualunque che aspira – spiando dietro alle colonne - a inguaiare Desdemone, a far strippare Otelli come se la paranoia fosse una buona consigliera.

Ma anche il portafortuna. La gobba, a toccarla. Allora sono una sorta di supereroe, tipo "l'Uomo Coccinella, morso da una coccinella radioattiva!", venghino – signore e signori! - porto fortuna.

Allora, gli corro incontro. Quando vedo quegli sguardi, parto in corsa – e che corsa armonica, immaginate! - spicco un saltello a un paio di metri e mi volto offrendo la gobba a quegli occhi superstiziosi, incitando a toccarmi la gobba. Per fortuna, nel nostro ordinamento giuridico, non esiste il reato di "Corsa con Saltello e Messa a Disposizione di Malformazione".

Molti, non ci rimangono bene. Certi scappano. Qualcuno, tocca la gobba. Un bimbo – un giorno – mi ha chiesto se aspettavo un fratellino come stava facendo la sua mamma. Però, sulla schiena.

Da quella volta, dev'essermi cambiato qualcosa nello sguardo, o nella corsa. Forse, nel saltello. Perchè qualcuno di quei toccamenti di gobba, son diventate pacche sulle spalle.
Molte, poi – col tempo – strette di mano.

mercoledì 30 marzo 2016

Io sono WeiЯdo.

Dice uno di quelli normali, se non me lo sono immaginato e basta, che dovrei scriverne. Che mi farebbe bene, che sarebbe una forma di egoismo sano. Perchè – secondo la sua laurea o uno degli altri fogli di carta che ha ammucchiato nel corso degli anni di studio – la mia Diversità dovrebbe essere la cosa che conosco meglio.

Anche un nome, gli han dato: Sindrome da Ipertrofia dell'Empatia. Bello, eh? Fa anche rima.
Poi, però – siccome non era abbastanza particolare – hanno aggiunto "Diversitariamente Settorializzata". Io sono, praticamente, un camaleonte freak. Secondo loro, personifico Diversità. Ma non sempre le stesse, ci mancherebbe: sempre più spesso e con maggior frequenza, una diversa Diversità. Una Diversità alla potenza, insomma. Capolavoro, no?

Dicono i dottoroni, insomma, un giorno posso svegliarmi sociopatico e quello dopo avere una disabilità fisica. Essere un ex galeotto e, subito dopo, diventare un'anoressica, o un cieco, o uno psicotico. Ma questo è solo il parere delle voci dentro alla mia testa.
Forse.

E non mi viene niente, da scriverci sopra, scoprendo così di essere strano e straniero anche a me stesso: io, delle mie Diversità, non so nulla. Quello che so, però, è che vorrei – almeno qualche volta - non essere notato. Al contrario di voi.

Ma sono qui, e sono così. Come il filo che spunta dalla maglia, il sassolino nel sale grosso, un neo di modella sfuggito a Photoshop.
Io sono WeiЯdo.

sabato 26 marzo 2016

StЯano.

"Nuovo post", dice, e mi fa ridere. Perchè per me è proprio un nuovo posto. Un non "Non posto" - però - perchè nessuno di noi è qui, fisicamente, e può esserci un'interazione. E dire che io sono esperto, di Non Luoghi, e inesperto di Interazioni.

Una volta, in un locale equivoco, c'erano queste donnine mezze nude ad agitarsi sui cubi e io mi sono messo a leggere.
Le istruzioni d'uso dell'estintore.

Se li è inventati uno che si chiamava Goffman, i Non luoghi, e era esperto di relazioni tra la gente. E io - invece - sono un uomo goffo, ma inesperto di relazioni. E non ho un posto.

È come se non avessero attaccato al treno la mia carrozza, proprio, o essere un vegano albino alla Sagra Notturna della Salsiccia, o andare dal notaio con le infradito.
Non so, se rendo.

Come essere sempre lievemente fuori asse, scantonar un po' di lato, calare o crescere nel canto del motivetto che tutti fischiettano. Una confezione di anacardi abbandonata nel reparto detersivi di un megasupermercato, un assorbente un po' storto negli slip dell'umanità.

Mi spiace, se l'immagine vi ha turbato. Anche a me, dà fastidio immaginarmi gli anacardi.

Non vado in giro, non viaggio, non mi muovo come tutti. Mi sposto da un "Cosa diavolo sto facendo qui" a un altro "Cosa diavolo sto facendo qui".